Dimenticato Login?   Registrati  

Pistata Mistostretto (Argo16)

Stavolta si fa sul serio: la pista.
Marmitte che urlano, pelle scaldata dal sole, plastica che gratta su un asfalto denso e poroso, bandiere e commissari, cordoli, odori di adrenalina shakerati ai fumi di scarico, olio e pasticche esausti: qui si fa sul serio.
La preparazione inizia la sera prima; nessuno dorme: i piloti riposano, come gladiatori prima dell’arena.
L’appuntamento della mattina, condito come al solito di sorrisi e battute, stavolta sa di aspettative e qualche timore. Il caffè: una formalità. Si parte subito.
La strada verso il velodromo scivola lenta sotto le ruote: non c’è fretta; come nei migliori appuntamenti, anche l’attesa va vissuta. Tutto rallenta: la velocità arriverà.
I cancelli d’ingresso, poi lei: la pista. Come una donna che conosce l’arte di ammaliare, ti si scopre poco alla volta, lascia alla fantasia molte emozioni future, ti lascia lì a cercare di scorgere quel qualcosa in più e, paziente, ti lascia sognare.
Gazebo montato, specchietti smontati.
I motori si svegliano dal torpore per cercare gli acuti più alti. Un’immobilità veloce ruota tutto intorno. 
Gli esperti aiutano i neofiti, i consigli suonano come ordini, le raccomandazioni non lasciano dubbi: fai come ti viene detto, o ti farai male.
Pista libera.
I vecchi piloti osservano gli occhi degli esordienti: vogliono leggere convinzione e consapevolezza.
Corsia d’inserimento. Cala il silenzio. Ci si concentra. Lei è lì e ti sta chiamando con urla di saette che ti sfrecciano accanto. Un ultimo sguardo, un sorriso. Si abbassa la visiera e si entra.
Il lato squisitamente positivo di una pista coincide, con esattezza, col suo risvolto tremendamente più negativo: come una vecchia amica, coerente e costante, che vedi però, solo occasionalmente, nel rincontrarla rischi di lasciarti subito prendere dall’entusiasmo, bruciando tutto subito.
Così un commissario di gara espone una bandiera gialla fissa, quello successivo, il medesimo colore, lo sventola; l’ultimo tiene tra le mani il colore del sangue.
Un tuffo al cuore, si fa la conta di chi è dentro, sperando di non trovartelo davanti, a terra.
Poi ti arriva incontro una moto rossa, il codone, divelto dal telaietto, ti osserva con sguardo familiare. Non vuoi crederci. Scappi avanti con gli occhi in cerca di particolari che ti dicano: “ti stai sbagliando”. Purtroppo, però, non trovi conforto in ciò che vedi; gli adesivi sulle carene non mentono e poco più in là il tuo amico, immobile al suolo ti offre la sua conferma: zanzara è andato giù.
Un sottile, affilato ago ti penetra il cuore, lasciandoti per lunghi istanti senza fiato. La pista si tinge di uno sbiadito grigio svogliato. Si rientra ai box.

Tutti corrono verso il luogo dell’incidente: ansia e concitazione ballano nella testa di tutti. L’ambulanza si allontana col suo prezioso carico e uno spettacolo rattristante ci viene incontro: tre dei nostri portano la cavalcatura di zanzara verso di noi, ognuno con in mano qualcosa. Non c’è tempo per fermarsi però, la moto di Alessandro dev’essere custodita: corpi farfallati coperti per evitare la polvere, serbatoio e codone all’ombra.
“Sta bene, voleva addirittura alzarsi, ma i medici gliel’hanno impedito” è la frase che noi tutti volevamo sentire.
Dopo un momento di concitazione così forte, il branco sembra smarrirsi. La pista fa più paura di prima se addirittura è riuscita ad ingannare una sua vecchia conoscenza.
Sisio, da presidente ma soprattutto leader, suona la carica, e lo fa con un gesto semplice: si allaccia la perimetrale della sua tuta, si rivolge al gruppo e lo sprona: “Siamo venuti qui per girare in pista, che stiamo a fare fermi?” e infila il casco.
Fabio, Stefano, Daito e tutti gli altri anziani – i nostri cani pastore – seguono l’esempio del presidente: mai fermarsi. Si torna dentro.
Poche curve e la pista torna ad assorbire tutto ciò che hai in corpo: spaventosamente affascinante ti abbraccia tra i suoi tornanti. All’inizio ti fidi poco di lei, ma lentamente le gomme si scaldano e i suoi cordoli non fanno più così paura.
Chiunque esprime il massimo delle sue potenzialità, tutti crescono e nessuno si risparmia. Turno concluso, si rientra ai box. I neofiti sfilano il casco e vanno a controllare i propri progressi sui battistrada fumanti, ai piloti smaliziati il gesto non serve e preferiscono ricordarsi reciproci sorpassi, commentare curve al limite della decenza e sfottersi tra loro.
Zanzara è tornato e il suo morale versa nelle stesse condizioni della sua moto: a pezzi.
E’ un leader, però, e non può lasciarsi scorgere troppo demoralizzato: sorride tanto, si presta alle “foto perculate” – specialità di Fabio -, chiede ai neofiti come si sono trovati tra i cordoli, sopporta i rimproveri e gli “amorevoli” insulti di Stefano e si lamenta poco. Lubbabbo non lo lascia mai, in pista scende mal volentieri come se su quella maledetta curva si sia interrotta anche la sua giornata di prove libere.
Mentre le urla di Stefano gareggiano con gli scarichi di 1000 ipervitaminazzati, il nostro SHT ci concede una delle perle della giornata: via la tuta et voilà! Davanti a noi si staglia la sua imponente figura guarnita di uno psichedelico boxer intimo, aderente, a scacci verdi e righine rosse. La pista si ferma, la direzione corre al bagno per vomitare, a Fabio ricrescono i capelli, Sisio diventa anoressico, Stefano si azzittisce, le moto fuggono via senza i loro cavalieri e, in mezzo a questo Armageddon, il nostro Flavio sorride compiaciuto rivolto ai suoi fans.
E’ il momento di Stefano: colpito dal successo riscosso dal suo amico Flavio, decide che è giunto il momento di rispondere per le rime al suo vecchio amico. All’urlo di: “donne v’avverto, me sto a spojà, nun v’eccitate!” inizia la sua svestizione...

...un certo interesse, il desnudo Stefano, lo attira: la protezione civile, infatti, valuta se metterlo in quarantena. Lui e la sua sottotuta aderente, grigio fumo e sudore, girano per il motodrome perfettamente a loro agio, intorno tutti smettono di mangiare.
Il tempo corre, tuttavia, e il nostro turno volge al termine. Di nuovo intutati, quindi. Di nuovo tra i cordoli. 
Stavolta però il nostro Fabio scopre il fascino dell’universo supermotard e al grido di: “Chiamate la televisione!” si lancia in pista con la mia moto. Una specie di toro infuriato, con testa bassa e polso fermo, si scaglia con impeto sul gruppo di 600 pronto gara e 1000 preparatissimi. Non risparmia nessuno, non risparmia sé stesso; una briciola della sua energia e del suo coraggio non viene conservata, coll’unico scopo di sverniciare quanti più piloti possibili. Ci riesce – ai danni di un 848 e un cbr 600 pronto pista – e torna ai box con un sorriso da orecchio a orecchio.
Dieci giri ancora, ma fuggono via in un lampo. Di nuovo fermi, di nuovo spogliarelli vari, ma stavolta salgono in cattedra il presidente e la presidentessa: come genitori di una numerosissima e famelica famiglia, danno la caccia ai loro pargoli, li rincorrono per farli sedere composti a tavola e iniziano a fare le porzioni per il pasto.
Tutto eccellente, semplice e davvero gustoso.
I motori zittiscono, ma Stefano continua a farci compagnia con la sua voce melodiosa che chiede sempre più pasta e sempre più pomodori al riso. Proprio come il suo “millone”, consuma in maniera disarmante e inizia una sfida a distanza con un serafico, quanto insaziabile, Canepazzo.
I due si contendono il primato fino all’ultimo boccone di macedonia con panna, assestandosi su un sostanziale pareggio.
Pasto terminato, i ritmi rallentano.
Si vanno a controllare le immagini scattate dai fotografi del circuito, un’ultima breve emozione nel ritrovarsi immortalati, impegnati in un bel gesto atletico e tecnico.
Si torna ai nostri stand, si rivestono le moto delle loro appendici, alcune si caricano sui furgoni e ci si saluta.
Un sole caldo di un pomeriggio di fine maggio saluta degli stanchi piloti che rincasano e chiude il suo sipario su un gruppo di amici che porteranno questa giornata nel cuore. Per sempre.
Grazie.
Argo16